Recensioni

Da alcuni scritti su Luigi Marzo

Vittorio Bàlsebre
[…] I fondi dipinti fra il mettere e il levare, l’uso di tecniche a volte sofisticate a volte semplici, per soddisfare la fantasia in atto…L’accumulazione della percezione in se e della “sperimentazione” accentua la possibile latitudine fantastica della stessa operazione che viene dal “mestiere”, ma anche da un “pensiero” costante della ricerca dell’essenza dell’arte, forse della vita…

Maurizio Domenico Toraldo
[…] I temi dominanti della sua ricerca pittorica, improntata ad una linea di rigore, sono il segno ed il colore, che come due “anime” dialettiche, due poli che si inseguono rinnovandosi in ogni contesto culturale specifico, marciano progressivamente verso l’annunciazione di una musica insolita nell’intento di delibare (“poesia dei triangoli e dei colori”), in un puro mondo di essenze, dal sapore esoterico, in cui il fascino dei miti mediterranei, dai colori teneri e solari si fonde con la geometria delle forme evocative ed enigmatiche.Il linguaggio dell’espressione è in bilico tra metafisica e mistero animato da un moto perpetuo.

Donato Valli
[…] Consuntasi la realtà per l’usura del tempo e delle istituzioni, rimangono le pure strutture d’una memoria tutta segni e colori geometricamente disposti in uno spazio ipotetico. Essi si aggregano automaticamente per forza di attrazione congenita senza tuttavia cedere alla lusinga del surreale; chè anzi lo spessore del subconscio è così esile da condurre a una dimensione più pensata che vissuta, più giocata che sofferta. E tutto dà il senso di una realtà ritrovata nella sua essenza primigenia che precede ogni possibile vita: qui è la suggestione rinnovantesi di questo malioso concerto di segni e di colori.

Ilderosa Laudisa
Volteggia, guizza, ordisce trama e scandisce spazi: la linea, esile ma sicuro filo d’Arianna conduce per mano in un lungo e incantato viaggio nell’immaginario metastorico di Luigi Marzo. Il campo si anima di presenze contraddittorie: nitide ed allusive, misteriose e innocenti. Talvolta la linea e il seducente percorso di un sogno ritmato da larghe pause di silenzio bianco; altra volta assume il fare intrigato e geometrico di una ragnatela o ancora diviene vigoroso tessuto connettivo di spazi colorati.
Pel suo viaggio la linea salpa mettendo a punto una rotta, ma non vuol rinunciare alle seduzioni del canto delle sirene ne vuole opporre resistenza al soffiare dei venti. Perciò di volta in volta sembra che un segno germini dall’altro seguendo il succedersi di sensazioni la scoperta di possibili rapporti, il bisogno di dar forma all’indistinto, per negarne, però, subito dopo ogni consistenza.
Il mondo pittorico di Luigi Marzo nell’apparente immediatezza di lettura cela una complessa memoria, al limite tra cultura artistica e cultura letteraria. Il campo compositivo perciò può disseminarsi di piccoli segni, quasi fiori come nei preziosi giardini, horti conclusi, dei dipinti del gotico cortese. Il campo però può anche divenire un magico e arabescato tappeto volante per sorvolare nella fantasia mitiche civiltà orientali. Si tratta di brevi frammenti di una fiaba, che adombra un mondo, in cui è arduo trovare gli echi dei problemi sociali, delle guerre, del dubbio destino dell’umanità, degli orientamenti (e delle mode) culturali contemporanei. Solo la precarietà degli equilibri e talvolta una sottile ironia ci avvertono che, al di là di quello spazio suggestivo, c’è dell’altro. Dì esso si tace.
Marzo nella continua ricerca di consonanze tonali, di sottili armonie compositive vigila per non rischiare di cadere in facili estetismi e se il percorso artistico partito da Klee, Klimt, Toorop, e il liberty in genere, attraversato forse da suggestioni del Cagli degli anni ’60, proseguirà verso l’autentica manifestazione di “essere nel mondo”, riuscirà ad eludere il rischio del decorativismo e a conservare freschezza d’espressione.

Antonio Carlo Ponti
Non un giorno senza (tracciare) una linea”. la prescrizione leggendaria di Apelle mi sembra “Non un giorno senza (tracciare) una linea”. la prescrizione leggendaria di Apelle mi sembra possa ben applicarsi alla ricerca di Luigi Marzo… dottore in legge ma grafico agguerrito per vocazione…Infatti le sue tele e i suoi disegni hanno una grazia per niente lunatica o stravagante anzi sono necessitati per virtù di un diuturno esercizio (nulla dies sine linea appunto). Hanno quelle “risonanze magnetiche” che soltanto un’arte disoggettivata si, ma non del tutto atemporale, anzi blilicata tra figura e segno puro, possiede in così gran copia…Marzo rappresenta a modo suo, un proprio personalissimo mondo non visibile, poeticamente misterico, a scelta polifonicamente cromatico o cromaticamente polifonico… vuole fortissimamente conquistare e donare l’astrazione dell’effimero, che è una sorta -sempre- di ritorno alla placenta; ecco la spiegazione dell’infantilità poderosa e insieme aerea prodotta da questa razza di artisti antiretorici che aborriscono i tuoni della grancassa prediligendo gli arabeschi dell’arpa.

Mimmo Coletti
[…] Lo stile è riconoscibile a prima vista, affinato da una serrata ricerca e capace di fondere il segno robusto (linea di confine tra i campi cromatici o trama fittissima, quasi di merletto) e una tavolozza splendente dove ogni tonalità assume riverberi di riflessione, ha una sua collocazione nello scacchiere mentale…Luigi si affida al suo sapere e alla potenza evocatrice del sogno, crea e fantastica, si culla nell’illusione di una spiaggia perduta e ritrovata a filo di intelletto. il risultato è straordinario, da applausi.

Giuseppe Agozzino
Fra il “reale” e l’”irreale” nella perenne sua creatività, Luigi Marzo in fecondo processo di osmosi libero da ogni sterile alchimia. Viaggiatore, segui con lui la via del segno e del colore

Alida Nardini
Uno stile molto personale, quello di Luigi Marzo, artista che passa con naturalezza dalla pittura figurativa a quella astratta, utilizzando pochi, essenziali segni grafici, accompagnati da sapienti cromatismi. Abilità tecnica e capacità di spaziare nel terreno del sogno producono effetti suggestivi di interpretazione del reale, che evocano antiche emozioni e nel contempo conducono l’osservatore in magiche atmosfere surreali, pervase da grande serenità.

Pierpaolo De Giorgi
Con caparbia determinazione Luigi ha sperimentato un gran numero di tecniche e di possibilità, ha superato l’astrattismo, il surrealismo, l’espressionismo e le altre correnti contemporanee, cercando e trovando continuamente nuovi equilibri tra la figura e il segno puro della linea o la forza del colore. Per lui oggi, come e più di ieri, dipingere significa imbattersi in un mondo nuovo brulicante di vita. Quasi in ogni sua opera c’è una ricchezza sinfonica di figure, di elementi e di significati, tutti concertati e profusi accuratamente allo scopo di decodificare i segreti spirituali del reale, di trovare ciò che non era stato ancora trovato, di svelare l’inespresso e di comunicarlo pienamente. Ci troviamo, quindi, dinanzi ad un grafico e ad un pittore di altissima professionalità. Ma Luigi non si ferma qui, è un artista completo che soffre e vive intensamente le sue opere. In esse coglie, infatti, con sapienza e genialità, il ritmo delle cose, tanto che non pochi suoi lavori sono ritmi realizzati tramite la linea e il colore. Sono i ritmi delle cose e della vita. Quest’ultima, in tal modo, mette a nudo le sue segrete qualità dinamiche, il fluire aereo o magmatico, il turbinio, ma anche la sua energia delicata, la sua mossa poesia. Così dell’Umbria, del Salento, dei paesaggi, dei cieli, dei volti, delle linee astratte e dei simboli stessi Luigi sceneggia l’andare, l’incedere, il viaggio, il sollevarsi, componendo ogni volta segni mobili e campiture di colore in tensione perenne. Nello stesso quadro ecco che sezioni, linee e cromatismi dondolanti si incontrano e si armonizzano proprio come accade in una jam session, in un concerto di blues o di jazz in “levare”, con forme artistiche decisamente innovative ma basate pure sull’antica formula dello swing. Alla fine il fraseggio e l’intero linguaggio evolvono la scena verso un altrove ricco di vita, verso un futuro sostenibile, dove la violenza e i sentimenti negativi non albergano più. Batte bandiera di pace ogni tratto di Luigi Marzo, è un progetto di dolcezza e di delicato godimento quasi ogni sua opera. Forse quanto detto può spiegare come mai, dinanzi alle sue opere, non manchi mai nel fruitore l’emozione estetica, il piacere puro. Orbene, dove s’affaccia il piacere, sosteneva Marcuse, un filosofo tutto da rivalutare, c’è anche una forte critica delle miserie quotidiane.

Cinzia Bollino Bossi
Il linguaggio di Luigi Marzo tende naturalmente all’astrazione. E non potrebbe che essere così, dal momento che l’apparato iconico utilizzato ha più a che fare con l’alfabeto dei segni e dei simboli che con quello delle forme sensibili e fenomeniche, e dal momento che l’ambizione dell’artista è quella di (ri)stabilire un ordine, di far risuonare voci e melodie arcane e archetipiche. I segni si rincorrono sulla tela dando vita a composizioni che hanno un andamento ludicamente severo; il colore, saturo e timbrico o rarefatto e sfumato, è usato con una precisa valenza spaziale e strutturale, tanto da restituire la misura della profondità, solo apparentemente sacrificata a una bidimensionalità da fregio. Su tutto, la linea nera divide e demarca, attribuisce e determina, attualizzando una ricerca che è memore della grande stagione dell’astrattismo lirico e che ha in Marzo la fonte di ispirazione più immediata ed evidente nella musica. La composizione si snoda orizzontale come un pentagramma, i segni vanno a comporre un’armonia, come fossero note musicali. I riferimenti alla realtà oggettuale, quando presenti e ribaditi nei titoli, hanno spesso a che fare con un passato primigenio, ancestrale, con un tempo in cui le lingue erano un suono che si andava via via diversificando, la scrittura un codice che si stava perfezionando. Marzo sembra voler stimolare nello spettatore moderno il recupero di una memoria antica e sapienziale, suggerendogli suoni che nascono da immagini e che sono l’eco del battito del mondo e della natura. La sua è un’archeologia pittorica, che lascia che affiorino dal magma squillante della materia forme linee e segni evocativi, totemici, arcaici. Noti, e al contempo misteriosi. E perciò affascinanti.

Aurelio Forcignanò
Ricordo di Luigi la passione per l’arte, che in occasione di alcuni esami comuni ai tempi dell’università, lo ha guidato come un obiettivo della vita, di quelli che “segnano” un uomo. La laura in Giurisprudenza costituiva già da allora, un momento di soddisfazione per i genitori e di transizione per lui, ma il suo ideale era quello di potersi dedicare completamente all’arte, alla pittura, alla grafica. Dai disegni di allora ai quadri di oggi, la sua crescita artistica è segnata dalla continua ricerca di nuove forme capaci di tradurre la spazialità, i colori e le forme in elementi visivi in grado di stimolare emozioni e viaggi immaginari.
Trovo i molte delle opere di Luigi, il senso e la spinta della cultura millenaria della sua terra, dove i colori e le forme si fondono in un tutt’uno con la ricereca di novità, un modo nuovo ed antico al tempo stesso di affrontare la vita ed i suoi valori, una evoluzione continua di cui avverte la necessità e il piacere.

Mario Marco Marroni
Pagine straordinarie, queste di Luigi Marzo, fatte di emozioni e dense di significati; un racconto pittorico nel quale la permanenza del segno si accompagna ad una varietà cromatica eloquente. Un tessitore della fantasia capace di giocare sapientemente con l’ordito e la trama,”le forme ed i colori”, per generare compiutamente il fare e, soprattutto, il suo dire. Un Linguaggio con un’impronta iconica forte, ben definita “ narrante”, testimonianza certa di grande equilibrio, cultura ed anche di espressività di rilievo, desiderio comunicativo e volontà di trasportare la suggestione in ambiti e spazi non così consueti e scontati. Verso l’astrazione dunque. Solo? E semmai quale? Molto più intrigante è entrare tra i ritmi, le dilatazioni, gli accostamenti, le attrazioni, le divergenze, le giustapposizioni di segni, linee, forme e colori. Dentro i formati, anche generosi, ancor meglio è lasciarsi prendere dagli equilibri dinamici, sempre sostenuti da una grammatica compositiva mai stanca, anzi in grado di guidarci nei meandri misteriosi, ora densi oppure rarefatti, degli spazi resi da azzurri sempre variati. Forte è anche la certezza di poter girovagare in un costrutto dove le forme ricorrenti sono felici scoperte ed ancor più significanti emozioni, le uscite infine sempre e comunque appaganti. Un universo di ritmi, sempre diversi nel loro connotarsi, definisce fortemente il rapporto tra la figura (la forma) e lo sfondo (lo spazio) preziosamente redatti in un ludico prendere (le forme si dilatano) e dare( le forme si contraggono), con una naturale restituzione della plasticità, tutta o quasi lasciata al colore. Le armonie cromatiche spesso giocate sui timbri, marcate da toni richiamanti memorie e rafforzate dall’ l’uso sapiente dei contrasti, sostengono la spinta ad una evocazione decisamente astratta e tratteggiata da simboli, valorizzano la funzione narrativa, contribuiscono considerevolmente al vivace esercizio creativo ed alla pratica di un’inesauribile invenzione. Spesso tutto si accompagna, ad una musicalità tutta interiore, mai eccessiva, piuttosto sublime “danzante”. Luigi, insomma, ci invita con grazia e semplicità a percorrere, in sua compagnia la strada che conosce, non per condurci all’ignoto, semmai incontro a misteriose certezze, “le sue?” NO! Le nostre basta lasciarsi coinvolgere.

Andrea Cernicchi
Grafico, pittore e ceramista, oltre che persona aperta, generosa e attenta alla considerazione del prossimo. Questo è Luigi Marzo, un sorta di ponte “senziente” tra due mondi: ha negli occhi il ricordo del profumo sapido del Salento mentre con lo sguardo cerca avidamente il verde delle ruvide colline umbre. Conserva della sua terra d’origine la solarità e la passione per le sfumature calde, che riproduce puntualmente, generando, con tocchi generosi e vividi, un cosmo di linee e di colori strabiliante e al contempo rasserenante. Luigi è l’archetipo del concetto di poliedricità. Con tenacia e perseveranza, tratto umbro, cerca sempre nuovi campi di applicazione, nuove forme e nuovi modi di esprimersi. Lo fa con un profilo così inconsueto e al contempo armonico che il tratto umbro di cui sopra, sviluppato in tanti anni di vita nella nostra terra, viene “mondato” dal calore e dalla vitalità mediterranea, per Luigi lascito genetico oltre che legame culturale. Un artista raffinato, quindi, che ha intrapreso il suo cammino immerso nel profumo di terra, di olio e di sale proprio della meravigliosa penisola salentina. Un artista che ha orientato la sua sperimentazione articolando con passione il binomio segno-colore, delineando un campo d’azione all’interno del trilatero forma, cromia e luce, quella stessa luce che Paul Cezanne sosteneva non poter riprodurre ma solo rappresentare attraverso il colore. Ed è proprio nella luce che Marzo affonda il pennello, ricreando quei giochi di colore tipici della terra dei Messapi, dove il sole abbaglia riflesso sulle bianche costruzioni e la campagna ha il colore dell’amore, della disperazione, della fatica. Ogni sua opera possiede una grande energia vitale che si irradia direttamente a colui che osserva. Davanti ai suoi lavori, infatti, il pensiero sembra quasi raggiungere un limbo purificatorio che terge l’anima dal grigiore quotidiano, per ricordarci le nostre radici e alleviarci da un mondo fatto di vacue luci e sbiaditi colori, rappresentazione di una realtà ormai troppo televisiva.

Mario Cazzato
Con homo ludens del 1939 il grande storico Johan Huizinga, scompaginando i principi delle filosofie idealistiche, della storia, provocatoriamente teorizzò come costante dei comportamenti culturali il gioco, ritenendolo un elemento imprescindibile dei fenomeni sociali. E quest’allora straordinaria concettualizzazione di un fenomeno tenuto ai margini della cultura “alta” mi è balzata alla memoria appena osservate le opere di Luigi Marzo. Ma attenzione, non può essere soltanto, quello di Luigi, un pur accattivante gioioso e vitalistico gioco che calibra con consumata maestria i rapporti tra forma e colore: che pure, poste in questa forma riduttiva, le sue opere si aprono ad un orizzonte di positività, di fiducia nella ragione che sembra pensare se stessa come aspirazione, mi verrebbe da dire, al “bello” e al “buono” di rinascimentale memoria. I titoli delle stesse opere, quando non sono una divertita tautologia – e penso tuttavia alla leggerezza ironica di un Palazzeschi –, incanalano intrusioni significanti di una dimensione più profonda e certamente più complessa. E dunque “Icaro” o il “cavallo alato” come fuga, anzi approdo alle profondità del mito, e perciò le forme si fanno dinamiche a tratti vorticose e vermicolanti per un fremito corposo, tattile, che compone e scompone le forme su piani paralleli con quello di fondo, che è quasi sempre la profondità del cielo o viceversa quella del mare che nel mito mediterraneo è la stessa cosa. Si osservi “civiltà sommersa”; un fantastico andirivieni tra le profondità dell’elemento primordiale e la sua superficie come qualcosa che si offre allo sguardo per sprazzi – come un labile ricordo – per poi sparire nel nulla non prima di aver lasciato una traccia indelebile. Proprio come sull’attonito sguardo durante improvvisi “bagliori notturni”. Così queste civiltà sommerse, questi lampi, il “castello di Almis” diventano come impronte di un tempo che scorre non circolarmente ma linearmente. E allora il “gran gioco” messo in moto da Marzo, oltre la dimensione ludica, si svela come il gran gioco della vita.

Marinilde Giannandrea
[…] La sua pittura ha una natura soprattutto luminosa, con gli azzurri marini intensi, i verdi che evocano le pianure, i rossi che richiamano tramonti assolati… Tuttavia non si tratta di una visione illusiva, ma piuttosto di un’essenza lirica e poetica con un colore che riesce a diventare quasi un linguaggio autonomo, ricco di una sua ricercata unicità. Sono tonalità volutamente studiate in accordi timbrici che si richiamano gli uni agli altri come accenti musicali e questa dichiarata volontà di immersione totale nel colore rivela alcune passioni. Infatti tra i suoi punti di riferimento non ci sono solo maestri dell’astrattismo del primo novecento, ma anche Mark Rothko con la sua unica e tonalizzante ricerca cromatica. Con questa sua ultima fatica pittorica Marzo sembra voler andare silenziosamente oltre i limiti della visione per preservare l’eco mentale di una nostalgia che riempie di colore la vita e le tele con i segni calligrafici che diventano solo parvenze riproduttive, distratte da tassellature o dissolte nell’evanescenza delle tessiture cromatiche che cancellano ogni residua illusione mimetica della realtà.

Guido Buffoni
[,,,] il gesto creativo di Luigi Marzo, assume il significato di un’azione diretta non solo alla sollecitazione dello stupore, che pure nasce inevitabilmente, ma soprattutto alla continua riaffermazione di valori interpretativi che esulano dalla quotidianità per immergersi appieno nel salvifico mare delle meraviglie dove tutto è possibile e dove tutto diviene elemento per una dimensione esistenziale, inesplorata e nascosta.
La realtà per lui non costitui sce l’elemento da analizzare o da rappresentare, ma un humus da cui attingere per astrarre proiezioni dell’esistenza che null’altro hanno in comune con il mondo sensibile se non l’intrigante emotività che da esso proviene e che diventa pura essenza interpretativa per una dialettica nuova, avvincente, suggestiva, prorompente e viva.
Un linguaggio il suo, affollato di elementi compositivi che scantonano la concretezza delle forme secondo regole nuove, inusuali, originali, sicuramente personali, dove alla perdita della “fisicità” si contrappone l’idealità più assoluta dentro ad un areale interpretativo che nasce, come per incanto, al di fuori di ogni simbolo riconoscibile. In quella suggestiva “capacità visiva” che tutto trasforma attraverso regole dialettiche proprie ed irreali, dove nulla è affidato al caso, ma dove tutto diviene senso razionale e percezione visiva coerente e coesa. Esaustiva nel suo mostrarsi, non ha bisogno di altro se non di essere osservata, percepita, interiorizzata, legittimata all’interno della coscienza come dimensione di una realtà altra, dove tutto è possibile e dove il senso della vita acquista significati inesplorati e sorprendenti.

David Menghini
È la Natura la modella d’elezione di Luigi Marzo, il soggetto prediletto delle sue opere, l’origine dei suoi continui slanci creativi. Non si pensi alla mera rappresentazione del dato reale, tutt’altro; Luigi, artista di grande sensibilità e di inesauribile entusiasmo, lavorando per digressione, è riuscito negli anni ad andare oltre la superficie delle cose per pervenire a una limpidezza formale che abbaglia e ammalia, espressione di una Bellezza immota ed eterna, astratta come astratte sono le dinamiche che regolano la natura.
Quella da lui elaborata è una lingua non figurativa quanto universale, rigorosa e poetica al tempo stesso, quasi fosse la trasposizione su tela di una partitura musicale. Gli strumenti usati sono linee, forme e colori, elementi basici di una realtà ideale che una volta afferrata ci rasserena, ci fa sentire parte di un Tutto, ci rimanda ai nostri primordi, a quando gli uomini sapevano ancora vivere in simbiosi con ciò che li circondava.
Luigi sa attingere da un alfabeto comune, una memoria condivisa che riconosciamo immediatamente come familiare e di cui si serve, con straordinaria fantasia, per creare un sistema di comunicazione in grado di agire su più livelli cognitivi. In mezzo a forme rigorose e in perfetto equilibrio cromatico e formale, strutture di un’architettura naturale superiore, ecco fare capolino, di tanto in tanto, simbologie arcaiche, grafismi primitivi che nascono dalla sua immaginazione e recano al contempo il segno dell’eternità. Protagonista assoluto del suo lavoro è tuttavia il colore, bellissimo e seducente, che vibra e si muove dentro forme ora spigolose, ora morbide, estremamente musicali, che definiscono lo spazio. Gli accordi lineari, le relazioni ritmiche e gli accostamenti cromatici sono diretta espressione di un senso dell’ordine che è sì la cifra distintiva del suo linguaggio, ma che a sua volta risponde a quell’ equilibrio tra le parti che definisce tutto il nostro mondo.
Ed ecco allora la ricchissima tavolozza dei blu, memore del mare, dove la vita ha avuto inizio e che rappresenta anche il primo orizzonte in Salento, terra di cui è originario. Gli stessi gialli, i rossi e gli arancioni accecanti ricordano i campi pugliesi, arsi dal sole, fino ad arrivare ai verdi squillanti, tipici dell’Umbria, che lo ha ormai adottato da molti anni. Tutto rimanda a una natura rigogliosa e incontaminata, in grado di funzionare benissimo senza alcun intervento umano che troppe volte, anzi, rischia di compromettere questo ingranaggio perfetto.
E’ in questo senso, in conclusione, che l’arte di Luigi Marzo assume anche una forte valenza sociale, se non espressamente politica; il suo lavoro, pizzicando le corde più remote del nostro animo, ci invita a riconnetterci alla Natura, a re-imparare a riconoscere il suo respiro, perché lì risiede tutto ciò di cui abbiamo davvero bisogno.